Furono i grappoli dell’uva
a macchiare le spore
del mandorlo in fiore
dal fragile stelo
che nel mio tempo breve
conservo ancor memoria
e il sorriso a celare le mie pene.
Poi venne il tempo
in cui crebbero i silenzi
nel corpo mio sconfitto
dipinto in un affresco
modellato a impasto a cera.
Non fanno più rumore
i passi miei
al contrario
di quegl’anni andati
custoditi nel letargo
di paure mai celate.
Sono Zahyra
sono afgana
spettinata sotto il burka
prigione di stoffa
invadente ed arrogante
nel tempo infinito
avaro di promesse e di sapori
e di gerle profumate.