È lo stesso Poeta ad offrirci la chiave di lettura per intraprendere il percorso intimistico-esistenziale che, nella silloge poetica Nel tempo dell’assenza, vincitrice del Premio Scriptura, si dirama lungo il flusso memoriale volto ad un’analisi introspettiva.
Il Poeta tende verso se stesso – «capirò chi è quest’uomo/ con la paura tra le mani» –, per incontrarsi nella rivisitazione dei ricordi – «Era di ottobre…» – e riappropriarsene – «ho provato a disegnare il tuo sorriso»; per ritrovarsi nella conoscenza di sé – «credo ancora nei dettagli/ delle prospettive» –che si rinnova – «credevo libertà la mia prigione» – per approdare, infine, a nuove convinzioni – «sono un punto/ che va a capo» nella geometria dei sentimenti.
Sui versi domina la nostalgia della presenza – «eppure era ieri/ eppure c’eri…» –, che trasmigra nell’angosciante «attesa di un tramonto» e si fa largo come fiume in piena per sfociare nella struggente malinconia che toglie vigore allo slancio vitale.
La trasparenza delle intenzioni poetiche investe l’intera raccolta con il fascino di una tensione lirica che il Poeta riesce a creare, attraverso il sapiente uso della parola, duttile tra le sue mani, e ad amplificare, spostando lo sguardo su quanto di più affine alle sue emozioni gli offra la Natura: «Furono i grappoli dell’uva/ a macchiare le spore/ del mandorlo in fiore/ dal fragile stelo…».
Il dolore, per un ritorno negato, alberga nella memoria dei sentimenti, cui attingere per ricevere le emozioni, pur nella consapevolezza della loro irripetibilità.
Con una poetica intensa, si svela il mal d’essere «nel dismesso silenzio delle ore», silenzio che imperversa dirompente, nel circuito del verso breve e scevro di artifici, ma che a volte implode e fa ancora più rumore.
E se il verso a tratti lenisce il dolore, è una scheggia che trafigge il conciso «Mi manchi» che proietta il poeta nel labirinto della solitudine.
La poesia è come sospesa in quel «io resto qui ad aspettare… silenzioso e solo…» che trasmette un senso di impotenza e sconfitta, ma con la forza dell’anafora – «me ne andrò/ tra le linee in divenire/ aspettando il sole di domani» –, il verso riafferra la vita e, seppure in un dolore composto, si coglie il momento catartico che assume una funzione liberatoria.
Lo sguardo del Poeta è alla ricerca di un tempo che, nell’assorta evocazione, riallacci le distanze – «sei la distanza/ che mi corre incontro» –, ma poi si spinge oltre, nel superamento della dimensione spazio temporale – «oltre il muro… oltre le profondità… oltre ogni limite» –, fino a protendersi alla dimensione ideale – «me ne andrò oltre il mare di te» – e sconfinare in quella empatica – «oltre la misura d’orizzonte» –, dove l’imperfezione di un cromosoma assente colma il verso di sofferenza – «nell’irragionevole disarmonia/ dell’esile corpo» prigioniero dell’anoressia; sulla « prigione di stoffa/ invadente ed arrogante di Zahyra… spettinata sotto il burka»; su «quel grammo di follia che abbracciò il silenzio e aprì le ali al vento».
Protagonista e testimone del suo tempo, il Poeta coinvolge nel suo peregrinare tra solitudini che lasciano presagire presenze, in un’atmosfera a tratti rarefatta, laddove si propaga l’ansia dell’attesa, si colgono le distanze, si percepiscono i silenzi, si avvertono di sguardi e ci si ritrova nel luminoso incanto della poesia che restituisce ciò che si credeva fosse andato perso.
Anna Bruno
Presidente del Premio Scriptura - Meta (Ch)