Il tempo del silenzio. Oltre la misura d'orizzonte
La poesia è quando un’emozione ha trovato il suo pensiero e il pensiero ha trovato le parole (Robert Lee Frost ). E mai come in questa raccolta poetica parola ed emozione hanno raggiunto note così alte da rendere, Il tempo del silenzio una sorprendente scoperta che tocca il cuore e la ragione. La ricercata e raffinata poetica di Massimo Massa, che non ha certo bisogno di presentazioni come fine poeta e persona di alta statura intellettuale, è un crogiolo di vibrazioni, uno sguardo critico, attento e discreto verso quella parte di umanità vittima di violenza e di abbandono. Quella del poeta è una delicata disamina esistenziale dove identificarsi con la sofferenza per poi acquisirne maggiore consapevolezza. Di fronte all’ inquietudine di vivere Come spine nell’anima infisse/ la violenza ha rotto le catene/ di un amore a comodato d’uso… (Cfr. Comodato d’uso) gli occhi di quelle vittime diventano un passe-partout per capire il senso di ciò che l’umanità ha smarrito e che è necessario ritrovare. Nascono così liriche distinte, colte, di un fine estetismo espressivo sostenuto da un lessico forbito e raffinato. Poesie in cui aleggia con rara eleganza, una poetica nuda, svelata, esaustiva nella parola, sorretta da uno stile personale maturo, aduso alla ricercatezza e corroborato da una solida grammatura intellettuale. Una versificazione avvincente che si snoda attraverso un flusso emotivo che prende corpo e vita laddove attraversa la linea di demarcazione tra la sopraffazione e l’indifferenza. Una poetica, quella del Nostro, scevra da qualsiasi formalismo preimpostato o conformato a modelli dominanti, sorretta unicamente da un’interiorità rivelata, frutto del suo coinvolgimento emotivo ed esperienziale. Dominano nelle sue poesie, versi pronubi di sensibilità, intrisi di una potente ispirazione lirica capace di stimolare la riflessione critica e scuotere le coscienze sulle macerie di una realtà che non abbiamo mai voluto condannare …Bambole spettinate/ d’ebano brillanti/ dai ventri colmi ingravidati/ in cui crescono i silenzi/ di corpi ammutinati… (Cfr. Appunti di viaggio. Storie di ordinaria pedofilia. ) Versi potenti, lancinanti, per cui la poesia diventa coscienza collettiva, pensiero razionale purificante, versi asciutti, mai per caso, sostenuti dalla luce e dalla potenza della parola, ponderata con dignitate rerum, parola che il poeta riveste della sua calda intimità, svelando la sua anima di pace e di ascolto. Il linguaggio poetico di Massimo Massa, che contraddistingue la caratura delle poesie, è espressivo, immediato, discreto, poggiato sulla purezza dei sentimenti e rispecchia l’ethos, la condotta di vita del poeta stesso perché Imago animi sermo est: qualis vita, talis oratio. Il linguaggio è lo specchio dell’anima: qual è la vita, tale il parlare (Lucius Annaeus Seneca). Di rara bellezza le poesie sulla violenza, discrete, sottese, prive di qualsivoglia sterile retorica ma che si respirano come il vento gelido dell’inverno e si imprimono sulle coscienze come fotogrammi in bianco e nero in cui violenza e sofferenza scorrono come titoli di coda. Poesie in cui il poeta ha voluto farci vivere il suo sentire, lasciando che la tempesta emozionale scaturita dai versi, sia la rivelazione di quella verità, di quel paradigma esistenziale impresso sulle labbra e sulla pelle di quelle bambole spettinate e di quei corpi ammutinati che vivono silenziosi tra gli anfratti della nostra coscienza. E comprendi così che la violenza non è un flatus vocis ma una dolorosa discesa agli inferi dai quali, se si torna, si resta condannati a vivere un corpo prestato altrove. Palpabile ma ancora più accorato e struggente lo sguardo carezzevole volto sugli occhi spenti, sottesi, di chi vive i suoi ultimi sprazzi di vita in solitudine, in triste abbandono … abbasserai gli occhi/ al fazzoletto di cotone bianco/ arrotolato tra le dita/…” (Cfr. Dove finisce il mare). Versi scolpiti col cesello, preludio di un oceano di sensazioni che si aprono con armoniosa ansia alla memoria di un tempo andato, di profumi dispersi, di mandorli in fiore, di un’aria che sa di viole, di istanti, di un’esistenza dismessa, chiusa nell’armadio dei ricordi ma ancora rigogliosa d’amore. Versi in cui Il silenzio è la parola di chi cerca lo spirito (Sathya-Sai-Baba), versi affabulanti, elati, che il poeta ha calibrato sulla propria pelle, parole che collassano nella consapevolezza di un amore che forse non è stato mai abbastanza! Ed è da questo straordinario, breve viaggio tra le pieghe dell’abbandono e della sofferenza che nasce e si riempie di luce ogni poesia, ogni verso, ogni parola perché … La poesia non è un modo di esprimere un’opinione. È un canto che sale da una ferita sanguinante o da labbra sorridenti (Kahlil Gibran). E questa Terza Stagione diventa così una testimonianza di vita, una visione lacerante di ciò che accade intorno a noi, diventa voce, corpo e sangue di quei riflessi multipli della violenza che si annidano, muti e silenziosi, tra le pieghe di una realtà iniqua, abulica ed indifferente. Una voce la sua, come impegno morale che nasce anche dalla consapevolezza che se si vuole cambiare il mondo Animum debis mutare non caelum (Lucius Annaeus Seneca) bisogna cambiare la nostra anima, il nostro modo di pensare. Ma Il Tempo del Silenzio è anche un atto d’amore, un giardino di fiori piegati dal vento, che ci regala una poesia di ineffabile bellezza, dai toni discreti, profondi, irenici, rappresentativi del modo in cui il poeta intende la vita, la scruta, la respira, la interroga, pur consapevole dell’impossibilità di ricevere risposte. La lettura di queste pagine, che acclarano, qualora ce ne fosse stato bisogno, la profondità d’animo del poeta, la sua provata umanità, la sua cifra stilistica e il suo universo emozionale, trova un lettore attraversato da un’irrefrenabile commozione, dalla contezza di un dejà vu che non aveva mai visto veramente con gli occhi del cuore. Questa parte del florilegio oltre ad essere una chiave di conoscenza e di interpretazione emotiva della realtà, è una pagina stampata nell’anima che va sicuramente oltre la misura d’orizzonte perché il filo sottile che attraversa e permea la suavitas di ogni lirica, è una sottesa e invisibile carica spirituale che si leva dalle retrovie della sofferenza … porta il senso della luce/ come seme/ che germoglia nel deserto (Cfr. Donna d’Africa). E se la poesia è la terra delle emozioni (Nizar Qabbani), l’emozione che si respira da questi versi di ineguagliabile ricercatezza scivola leggera sul cuore di chi legge come il bagliore di un Jakamoz, ovvero, come il riflesso della luna sull’acqua!
Francesca Misasi
dirigente scolastico
e docente in quiescenza di Storia e Filosofia