Un poesia che tocca un livello inconsueto per lo spirito etico-riflessivo che traluce attraverso la partecipazione vitale del poeta ai problemi del nostro tempo, è quella che Massimo Massa offre al lettore con la sua silloge poetica La terza stagione. Il tempo della vita e quel che resta (Oceano Edizioni, 2024), ove con meditazioni liriche trasparenti, esenti da orpelli e ricche di modulazioni tematiche e problematiche, dà di se stesso l’immagine di un uomo che vive “sub specie aeternitatis”. Massimo Massa è un esemplare uomo di cultura, per la quale si spende da anni: ha fondato l’Associazione Culturale L’Oceano nell’Anima di Bari avviando iniziative per lo sviluppo della cultura e per la solidarietà e l’integrazione sociale; ha ideato il Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea Lucius Annaeus Seneca, ed è Pro-Rettore dell’Accademia delle Arti e delle Scienze Filosofiche di Bari, Polo accademico internazionale di libera creazione del pensiero per lo studio e la formazione del linguaggio filosofico ed artistico e per l’insegnamento delle scienze e delle arti contemporanee. Insomma una figura poliedrica che con i suoi aneliti, con i suoi sospiri, con le sue emozioni ed intuizioni rivela una Weltanschauung nella direzione di una poetica che riesce a connotarsi della visione dell’ “altrove” in grado di esplorare la vita, capace di intercettare il riscatto dall’età e di fare esegesi della memoria. Il corpus scrittorio de La terza stagione poggia su tre dinamici momenti creativi (Il dopo che verrà, Il tempo del silenzio e Nel battito degli anni) scanditi da epigrafi che riverberano una intensa suggestione sulle poesie, divenendone quasi la cifra epifanica, e che convergono nell’unità di un sentimento non disancorato dal sovrasensibile e dal quale emerge quello che il poeta ci dà di se stesso e non quello che egli proclama come dichiarazione di “poetica”. Massimo Massa, insomma, reinventa il reale, sublima il suo percorso di vita avvolto nei recuperi della memoria in “attesa attiva” del tempo che avanza: ...Ora siedo ad aspettare tra le cose che mi restano di questa terza stagione finché il silenzio sarò sudario e la mia notte avrà l’insonnia dentro. Fermo l’ora del quadrante per sostare nel mio tempo e ricoprire di ricordi il petto fino al viaggio del ritorno tra gli onori del congedo quando resterò solo essenza e la mia essenza si farà presenza. (La terza stagione, p. 46) Il poeta, così, si racconta in versi, quasi come su una pagina di diario, annotando le emozioni provate, il dolore interiore, il lamento taciuto, la speranza in un mondo migliore, giorno dopo giorno, anno dopo anno, ponendosi domande con l’animo inquieto per l’incertezza che la vita stessa presenta, ma fiducioso nel tempo futuro:ù E mi chiedo se al passar delle stagioni io vada per la giusta strada tra i sentieri del domani e gli infiniti numeri dei giorni contando i passi come sillabe di un verso... (Ultima fermata, p. 74); ...Resterò quercia qualunque cosa accada anche se i miei piedi solcheranno nuove strade nell’ala pallida del vento. (Dal profondo dei miei anni, p. 73). Rilevante, nella sezione Il tempo del silenzio, è la tendenza di Massimo Massa a scrutare il tempo mentre egli osserva in silenzio l’ immensità che lo circonda rielaborando appunti di viaggio dove si trovano orizzonti di una socialità ferita e Storie di ordinaria pedofilia p. 87; ed ancora immagini di amori traditi e dignità calpestata, di indecenze(che) /cercano promesse /d’una ostinata notte, p.90; di sussulti di coraggio delle donne di Teheran , p.102; di cicatrici /di questa assurda guerra /in cui si intreccia /nelle dune e negli anfratti /il palpito del tempo, p. 110. Nei versi del poeta pugliese risuona in sostanza l’umanità che lo circonda e la sua cultura, la sua tensione meditativa che a volte si presenta carica d’angoscia e d’inquietudine; leggiamo, altresì, una denuncia sociale, una riluttanza contro il male, il bisogno di vedere una società che si sottragga al caos e alle contraddizioni della contemporaneità per ridiventare un’oasi di originaria innocenza in cui non giungano gli echi delle violenze, in cui si spengano i lamenti a causa delle guerre. Il silenzio di Massimo Massa non è nascondimento ma la caratterizzazione della sua forte interiorità, la cui essenza spirituale, umana e lirica riluce di messaggi ; è il silenzio del credente, di colui che ha nell’anima la Verità e una luce spirituale che illumina i suoi passi sulla strada dei valori dell’umano affratellamento, del dialogo che si fa accoglienza dell’altro e inclusione nella diversità: ... Semmai il mio Dio ascolterà /il coraggio delle donne di Teheran /per l’ultima fermata /vorrei svegliarmi /a venti metri sopra il cielo /dove faranno storia /i ciclamini a primavera, p. 81. Il linguaggio adoperato in questa seconda parte della raccolta appare sempre più fortemente allusivo; lessico e nessi verbali rispecchiano la misura della reale tensione ideale ed emotiva del poeta, sono strumenti che contengono senza residui il processo psicologico che li genera, e danno la consapevolezza che l’autore ha saputo elaborare un proprio codice espressivo e conquistarsi una propria personalità letteraria. Il genotesto della terza parte del volume, Nel battito degli anni, poggia su accumuli tematici offerti dalle esperienze culturali, dal mondo degli affetti umani, dalle occasioni quotidiane dell’esistenza, accumuli che viaggiano dentro uno spazio descrittivo nel quale si sviluppa una circolarità ermeneutica fra il tempo presente, il recupero memoriale e la condizione dell’attesa, all’interno di una rappresentazione-esplorazione che nella conclusione gnomica rivela aliti di un amore che va oltre il tempo. C’è, nei versi, un costante dialogo di un io con un tu che diventa noità, ed essenzializzato in un’armonica orchestrazione del sentimento enunciato con vibrante tono lirico: Rivedo nei tuoi occhi /gli inverni che mi porto addosso... Vieni a me /nell’attesa del domani... Tu raggiungimi se puoi /all’incrocio di questa terza età, p.120; ...Cercami ancora /tra le mie parole spente /lontano dalla chiave dei perché, p. 123; Torno a te /sul finire dell’inverno... Non chiedermi chi sono …Tieni strette le mie mani, p. 128; Ti presi tra le braccia... Fu lieve il tuo sorriso..., p.132; ...Ti cercherò in ogni sguardo... Mi cercherai tra i miei rifugi... Mi troverai tra i tuoi errori... p. 140; ...Mi troverai nei cigolio di questa porta... Portami i tuoi giorni... p. 143; Sei la misura di tutte le mie attese... Sei la parola che non ha forma... io ti troverò /nei silenzi della notte... ti troverò /in tutti i giorni che verranno, p. 146; Sei vento che mi porta all’orizzonte... Sei nascosta tra i pensieri... Sei la donna /che sostiene un vecchio stanco..., p. 148; Sarò con te /ad ogni alba bianca... Sarò con te /in questa solitudine... Mi seduce il tuo pensiero /la tua gonna ardente di passione... Restiamo carne /dalla pelle al cuore, p. 150; ...ti ritrovo nel mio inchiostro /sulle pagine sgualcite... Ti ho cercato in mezzo /a quei gesti stanchi, p. 154; Cercami nei miei passi... Cercami negli spazi senza tempo... Ero in attesa dell’aurora /quando t’ho incontrata, p. 156; ...Se c’è ancora spazio /spiegami tu la vita /nel tempo breve /che mi resta /per amarti... Io... non l’ho mai capita, p. 158. Questi versi sono indicative esplosioni del sentimento che precisa, puntualizza, definisce, dimostra, caratterizza, e porta il testo a quella tensione lirica laddove ogni paragrafo si scioglie in una chioma di note, trasformando la poesia di Massimo Massa in un canto del cuore proteso, nel pieno della vita dei pensieri, all’infinito delle memorie e delle fantasie, ai temi delle meditazioni, alle aurore delle armonie che fanno umano anche il patetico delle malinconie. La poesia di questa terza parte del volume è sicuramente poesia delle idee e degli affetti e le parole ne sono le ali; le citazioni sopra riportate ne sono una dimostrazione e rimandano ad una bellissima immagine di Rimbaud: “Io ho teso funi da campanile a campanile, ghirlande da finestra a finestra, catene d’oro da stella a stella, e danzo”. Le parole sono le ali. Dunque una poesia, quella di Massimo Massa, dai caratteri marcatamente ordinati, aperti e lineari e in cui le note d’amore che animano le invocazioni liriche disseminate nei versi sono emblema di una poesia che parla, che scava fra le zolle, che si libra negli spazi senza tempo, che cerca la parola che non ha forma, che si consegna nei silenzi della notte e di essa profuma, come le rose. Il poeta, ad ogni alba bianca iridata di cielo con i sogni consumati nel cuore, canta le veglie e le vigilie, le crisi e le rinascite, le scie delle labilità e le traiettorie degli assillanti interrogativi senza valida risposta. Canta le esperienze e le battaglie, vinte o perdute, ma tutte riportate sotto la lama dei giorni e sistemate nella “sala d’attesa” d’un futuro che avanza: ...Aspetterò quel treno accorciando le distanze perché all’alba di domani ti rivedrò ancora tra gli arrivi alla stazione cercando in te l’incanto e la ragione. (Aspetterò quel treno, p. 152). La scrittura di Massimo Massa si essenzializza spesso in una delicata prosodia ricca di nuclei indicativi, s’impreziosisce dell’etimo tonale e si incarna in una acquisita semantica riassuntiva ed esplorativa, riuscendo a trasfigurarsi in un dialogo d’anima con morbido fraseggio ed essenziale grafia gnomica. Il poeta sviluppa il sussulto di una materia che vuole forma e richiede un rispetto metrico e lessicografico, passando poi ad una narrazione feconda, espressiva, consistente di profili. Nei suoi versi si coglie insomma un lavoro d’arte non indifferente, che necessita di cultura, fine giudizio, intuito capace di intessere un rapporto con l’ambiente esistenziale. Diverse poesie della raccolta hanno accanto anche una traduzione in altre lingue, segno della interculturalità vissuta dall’autore e dei rapporti in atto con poeti a livello internazionale; il tempo della maturità esistenziale del poeta ha allargato gli orizzonti riversando sulla pagina l’eloquenza delle sue meditazioni nel raccoglimento dei suoi anni, e pervadendo la sua poetica sia delle larghe attenzioni ai vari livelli della realtà sia dell’eco dei suoi passi che hanno camminato tra gli uomini fino alla “terza stagione”. Il realismo dei termini è accarezzato anche dal suono cupo delle malinconia e dalla consapevolezza del vivere un tempo in cui non torna il conto: Oggi non torna il conto /attraversato dalla vita /mi ritrovo grigio il capo /ed è un corpo che non conosco, p.66. Una poesia, per concludere, quella di Massimo Massa, che si posa come carezza e speranza nelle asimmetrie umane, con un fraseggio inventivo e di delicata bellezza, con una forza espressiva e una sua funzione epistemologica capace di indicare la via, illuminare le menti e le coscienze, aprire alla speranza e alla solidarietà, dare una motivazione al senso della vita nelle sue varie tappe evolutive. La terza stagione è l’inizio della prosecuzione di un nuovo cammino esistenziale del poeta, perché egli non “si sente perduto”, ma continua a cercare approdi capaci di sostenerlo nei momenti difficili e bui, e con l’attesa di un’altra alba capace di irradiare nuova luce, dal momento che offre la possibilità di esprimersi, di comunicare e di accomunarsi agli altri esseri con i quali si condivide la stessa sorte all’incrocio di questa terza età: ...Io ti aspetto qui nel mare dell’ inchiostro in fondo alla brughiera cercando un varco tra gli schemi. Tu raggiungimi se puoi all’incrocio di questa terza età. (Nel mare dell’inchiostro, p. 120)
Domenico Pisana
Scrittore, saggista e critico letterario
Dottore in Teologia Morale